Ott 12, 2013 - racconti    4 Comments

IL GIARDINIERE – TENTATIVO DI RACCONTO NOIR –

Salgo sul furgone rosso sporco e imbocco la statale 24 direzione : ignota. Accendo la prima sigaretta della giornata e sono le otto di sera. Aspiro profondamente,

una boccata di nicotina pura sparata dritto ai polmoni malconci. Espiro lentamente, assaporo il fumo ringhiare contro la gola, carta vetrata, ruvide pareti vissute e rivissute. Le labbra socchiuse dirigono il fumo verso lo specchietto, rendendo l’immagine riflessa opaca e

scura. Sopraciglia ricurve e folte scendono su palpebre rigide e tirate. Nascondono occhi neri come la pece e ciglia fitte come rovi spinati. Il naso dritto e aquilino

spicca tra guance scarne ed abbronzate, indica u punto preciso: la bocca sottile ed imbronciata disegna un ghigno amaro. I miei occhi ritornano alla strada deserta, linea bianca continua, filari d’alberi ai lati corrono come bravi soldati impettiti. Le ruote del furgone inghiottono il grigio asfalto velocemente. Il nulla avanza fuori e dentro di me. Stringo il volante, le nocche sporgono come cime di montagna, ghiaccio rovente, graffiato e umiliato più volte, grida sofferenza. La fede argentata avvolge  l’anulare con forza, non brilla più, da quando lei se n’è andata. Un giornale stropicciato abbandonato sul sedile posteriore rotola avanti ed indietro, segue l’onda delle curve, scandisce il ritmo del viaggio. Odore di smog e campagna entra dal finestrino, pungente, acre, disgustoso come i miei pensieri contorti. Chiudo ed il silenzio entra. La barba ruvida come le mie parole mi graffia il viso e il sudore ristagna tra i peli secchi come rami in autunno. Mi strofino il mento come a cacciare via i fastidi e le preoccupazioni. Ho sonno. Fermo il furgone in un piccolo piazzale deserto. Tiro già lo schienale e chiudo gli occhi. Devo decidere cosa fare domani. Se ci sarà, domani. Respiri profondi accompagnano i ritmi del mio cuore, organo vitale e pulsante, ospite di questo mio corpo stanco e ferito. L’istinto di sopravvivenza prevale ed il sole sorge ancora una volta. Pallido, avvolto dalla nebbia mattutina spunta tra il verde acido ed il grigio, irradia la sua luce rosa opaca ed appiccicosa sulla terra melmosa. Il domani è arrivato e l’oggi prende il suo posto. La  staffetta del tempo fa il suo corso incurante di noi ed il resto del mondo. I giorni corrono nella pista della vita e non toccano mai il traguardo, non lo intravedono neppure. Continuano a scambiarsi la staffetta senza bisogno di voltarsi. Così è, e così sempre sarà. Avvio il furgone, ho fame e sete. Percorro qualche chilometro. In lontananza un neon segnala la presenza di un bar.

Parcheggio. Entro. Ordino caffè, brioche ed una bottiglia d’acqua. Mi siedo ad un tavolo sguarnito. La cameriera arriva stanca, trascina lentamente le ciabatte bianche ospedale verso di me. Occhiali spessi, capelli raccolti in una cuffietta rosa, grembiule rosso e calze nere avanzano verso di me. Biascica un buongiorno striminzito e appoggia il vassoio sul tavolo. Tira fuori lo scontrino e  si allontana. L’odore del caffè mi sveglia e mi rigenera, la brioche è calda e ripiena di marmellata dolce. Gusto tutto come se fosse la mia prima colazione. Bevo l’acqua come se fosse di fonte e mastico lentamente per tenere a lungo il boccone in bocca ed accontentare le mie papille gustative ormai bruciate dal fumo.

Lo stomaco è a posto. Mi alzo e mi dirigo alla toilette. Mi rinfresco il viso e le ascelle, puzzo.

Pago il conto. Un biglietto stropicciato appeso alla cassa attira la mia attenzione.

“ CERCASI GIARDINIERE ESPERTO A  CISA . REACARSI IN VIA DEGLI ANGELI, N° 14.

FAMIGLIA BOCASSINI.” “ Scusi, signora quanti chilometri mancano a Cisa?”

“ Circa 15, rimanga su questa statale, è il paese dopo di questo.” “ C’è un albergo qui?”

“ Si, avanti 500 metri  trova la pensione “ Luisa”” “ Grazie, arrivederci” “ Grazie a lei, buongiorno”.  Un piccolo albergo, bianco, due piani, una tenda verde sovrasta l’entrata a vetri. La porta cigola,  quattro poltrone verde bottiglia occupano lo spazio angolare a destra. Un piccolo bancone bar  sopravvive nell’angolo a sinistra. Il tappeto rosso sbiadito mi conduce dritto diritto alla portineria. Non c’è nessuno. Il campanello dorato – spento chiama uno squillo.

Pigio con il palmo della mano, un dling sonoro riecheggia nell’hall.  Guardo il riquadro in legno delle chiavi, batocchi verdi penzolano da ganci come corpi morti. Una macchia sul muro sbrodola muffa nell’angolo. L’odore di alcol si mescola a quello di cucina, lo stomaco si rivolta e si contrae. “ Ho sentito di peggio”. Deglutisco. Silenzio. Non arriva nessuno. Risuono due volte. “ Il postino suona sempre due volte”, “Pessima battuta….”. La porta a destra con la scritta “pri ato “, la lettera V è scappata dalla disperazione, si apre e sulla soglia compare la signora Luisa.  Avanza con il capo chinato, si sta slacciando un grembiule macchiato di sugo, se lo toglie, alza lo sguardo e due occhi neri come la pece mi squadrano dalla testa ai piedi. “ Buongiorno, mi scusi, ero in cucina, cosa posso fare per lei ?”

Il tono freddo e distaccato indurisce i tratti del suo volto, scarno e pallido. I capelli neri sono raccolti in uno chignon perfetto. Niente gioielli, un velo di rossetto ricorda a tutti che lei è stata una bella donna. Potrebbe ancora esserlo, ma la vita le ha tolto ogni velleità. Mani lunghe ed affusolate prendono un registro dal cassetto. “Buongiorno, vorrei una stanza per una notte”. “ Va bene, pagamento anticipato, Euro 65,00 compresa la prima colazione. Se vuole pranzare o cenare sono Euro 10,00 di supplemento.”“ Perfetto, prendo la camera con la colazione. “ “ Mi serve un suo documento per la registrazione. “ Intanto mi scruta il viso, scannerizza le pupille dei miei occhi come un radar, scende al collo e alle mani. Le porgo il documento e rimango in piedi ad aspettare. Scrive i miei dati velocemente,, non parla, non fa nessuna domanda. Prende i miei soldi lasciati sul bancone e mi da la chiave. Numero 12. “ Primo piano Signor Castaldi”.“ Grazie.” “ Le scale alla sua destra”.  Salgo lentamente, una finestra impolverata lascia intravedere un cielo plumbeo, una lastra di metallo  con al centro un disco giallo opaco. Il mattino nella Pianura Padana offre spettacoli del genere. La camera numero 12 è piccola, letto piccolo, armadio piccolo, bagno piccolo. L’odore di chiuso danza indisturbato e irrita le mie narici. Apro i vetri, una lieve aria fresca entra a ricacciare la muffa della morte nei cassetti del ristagno. Disfo la valigia, ripongo i miei abiti puliti sulla sedia e do il via alla mia rinascita.

Doccia, rasatura e taglio di capelli. Lo specchio, ricoperto dal vapore, riflette l’immagine di me come un vetro satinato, non si distinguono i contorni, il corpo si mescola al mobiletto dietro di me. “ Chi sono?”. Passo il palmo della mano sullo specchio. “ Sono io.”  Occhi negli occhi. Anima nell’anima. Volontà nella volontà. Il gonfiore delle palpebre è sparito, le labbra hanno  riacquistato il colore, la piccola cicatrice sulla guancia destra è ancora lì. Marchio indelebile, perenne, come un pino  di montagna. Incidente sul lavoro. Sono giardiniere ed uso parecchi attrezzi taglienti. Indosso pantaloni marroni di velluto ed una felpa color nocciola.

Un paio di scarponcini da montagna, calze marroni e cintura scura. Un colore indecifrabile per me, né nero, né blu, né grigio. Mah?! Cintura scura e basta. Tocco finale: berretto blu e giacca a vento blu. Chiudo la porta. Chiave sul bancone. Lasco “ Pensione Luisa” tra le braccia scarne  di se stessa. Segue le indicazioni e dopo poco compare il cartello stradale bianco con la scritta nera “ CISA “. Al primo incrocio svolta a destra, trova un parcheggio vicino e scende. Quel grande viale alberato conduceva in centro. Marciapiedi curati, casette singole con giardino ai lati, palazzine con cortili e , qua e là, ville stile liberty ad impreziosire la cittadina. Cammino con il viso rivolto verso destra, ammiro i quadri ai lati. La pace è la tranquillità di questi giardini è surreale. Quella lavanda secca no. Quella è realtà. I rami rinsecchiti stonano in quel prato perfetto. Nessuna cancellata a proteggere la casa. Una stradina di ciottolato rosso invita a raggiungere la porta d’ingresso. Suono il campanello. Compare una ragazzina sui 15 anni circa, trecce bionde, occhi azzurri, sguardo penetrante e sospettoso.“ Buongiorno signorina, mi chiamo Mario Castaldi.” “ Bé, non ci serve niente, grazie” La creatura parla con tono altezzoso. “ Veramente, non vendo nulla. Le faccio notare che la lavanda nel suo giardino sta morendo. Io sono un giardiniere, ed è un peccato lasciarla morire così. Posso darle u’occhiata, vediamo se posso fare qualcosa.” “ Al giardino ci pensa mia madre, non abbiamo bisogno di nessun giardiniere”.  Mi fissa intensamente la cicatrice sulla guancia ed un lampo di paura attraversa i suoi occhi. “ Ora può anche andarsene, grazie.”La porta si chiude. Rimango in piedi incredulo. “ Che ragazza antipatica.” 

Attraverso il giardino, l’aiuola di lavanda grida aiuto disperatamente. Mi tocco la tasca, sì la mia forbice è lì. Mi chino sulla pianta moribonda, taglio i rami secchi, tolgo via le foglie appassite, smuovo un po’ di terra lì attorno, e innaffio con la mia bottiglietta d’acqua i rami e la terra. La guardo. “ Ecco, piccola, forza ora potrai crescere.” Mi allontano, svolto a destra, mi volto e riguardo la casa, le tende erano tirate, la ragazzina con le trecce mi fissa. Nessun cenno. Occhi gelidi lanciano sfide. Contraccambio. Raggiungo la piazza ed entro in un bar. Chiedo dove si trova Via degli Angeli. Non è lontano. Oltre la chiesa, la prima via a sinistra. Poca gente in giro. Qualche signora cammina sotto il portico con la borsa della spesa, anziani dentro i bar e qualche bici lungo il ciottolato. Trovo il numero 14. Suono il campanello.

Una signora ben vestita mi apre. “ Buongiorno, mi chiamo Mario Castaldi e sono qui per il posto di giardiniere. “ Prego si accomodi. Le chiamo subito la Signora Bocassini”.Casa austera, entrata imponente, arazzi alle pareti e armature lungo il corridoio.

Mi siedo nell’angolo. La grande sedia con braccioli ricorda la Spagna e l’Inquisizione. Il pavimento in marmo bianco e nero sottolinea un passato fascista. Rumore di tacchi rimbomba nel salone. Dalla lunga scalinata scende una figura minuta e aggraziata sorvola il pavimento come una libellula. Si avvicina porgendomi la piccola mano candida, è calda come pane e liscia come velluto. “ Buongiorno, piacere, Amanda Bocassini, mi segua. “ “ Piacere, Mario Castaldi, la seguo.” Entriamo in un piccolo salotto accogliente. Ci sediamo sul morbido divano.

Una libreria in legno bianco emana saggezza. La signora parla educatamente con un leggero accento inglese. Mi spiega le condizioni, le esigenze e la retribuzione del lavoro con fare gentile ma autoritario. E’ lei la padrona di casa. E’ lei la padrona del giardino. Non vuole sapere nulla di me. Non vuole le mie credenziali. Si alza e mi accompagna in giardino.

“ Bene, Signor Castaldi, ha tutto il pomeriggio per dimostrarmi la sua bravura. La lascio solo.

Faccia ciò che ritiene più opportuno. Laggiù troverà tutti gli attrezzi del caso. Buon lavoro.”L’ampia vetrata si chiude . Un giardino immenso si apre davanti a me.Lo spettacolo della natura allarga le sue braccia verso di me. Un piccolo labirinto attira la mia attenzione, Un capolavoro di fantasia ed intelligenza. Non è ben curato, rami e foglie sporgono disordinatamente, radici spuntano dal terreno ed il prato è molto secco. Non va bene. Procedo con ordine. Lavoro con precisione, mi occupo di più punti sofferenti. Alcune piante secolari necessitano di potatura e il piccolo stagno piange ninfee colorate e pesci rossi. Una bava di vento gelido mi distrae. Guardo il cielo. E’ sera. Il tramonto è limpido.

Smog e nebbia sono lontani. Raccolgo gli attrezzi. Riordino il ripostiglio. C’è disordine. La porta di legno cigola. In piedi, Amanda mi sorride dolcemente, un frammento di cielo azzurro illumina la stanza. “ Signor Castaldi, lei è assunto.” Si presenti domani mattina alle nove in punto. Clelia, la governante le darà istruzioni. Buonasera. Può uscire dal retro.”

“ Grazie, accetto il lavoro. Buonasera a lei”. Il sole scompare oltre la porta. La richiudo dietro di me. Imbocco il vialetto di ghiaia bianca ed esco dal cancello ricoperto d’edera. Guardo l’ora: le 17.30. “ Bene, ho tempo”. I lampioni “ Art déco” illuminano

il viale, luce antica, lontana, fievole incanta il cielo scuro. Ritorno alla piazza e chiedo ad un passante dove posso trovare un’agenzia immobiliare. C’è n’è una oltre il Comune, un palazzo antico dai mattoni scuri. Una piccola insegna colora “ Agenzia immobiliare CERCOCASA”. Sbrigo le pratiche per un monolocale fuori centro, conveniente e ammobiliato. Guardo le foto al computer. Firmo il contratto. Chiavi in mano. L’agente mi dà la mano soddisfatto. Mi lascia il suo numero di telefono e si raccomanda di chiamarlo per ogni evenienza. Mi fermo in un bar e mangio un panino. Bevo birra chiara e caffè nero, amaro. La piazza è deserta. Sono tutti a cena. Il barista gioca a carte con un cliente e due ragazzini cinesi fanno suonare il  video poker. La tranquillità aleggia come brezza marina. “ Dove sono stato tutto questo tempo? E’ questa la realtà?”  Pago il conto ed esco. Il silenzio è quasi atroce. Un fermo immagine imponente. Non si muove nulla. La nebbia nasconde i contorni, fumo  negli occhi. Luci fioche e deformate ondeggiano sul cielo della piazza. Pennellate di grigio dipingono la notte padana. Cerco di individuare la direzione da prendere. Ripasso nella mente i punti di riferimento e mi incammino verso sinistra. I miei passi echeggiano tra il silenzio. Guardo avanti ma non vedo nulla. Un limbo sospeso tra terra e cielo mi conduce chissà dove. Il freddo entra nelle ossa. Pensieri contorti vagano nella mia mente. Paura? No, non credo. Fastidio? No, nemmeno. Inquietudine? Forse. Una figura in nero sbuca fuori dal grigiore, esce dalla scatola dei regali come uno scherzo di carnevale con le molle. Un viso bianco e scarno appare vicino al mio. Ci scontriamo. “ Mi scusi” “ Ehi, ma stia attento no?” “ Non vede dove va? E’ ubriaco?” “ No, non vedo dove vado. Non sono abituato al questa nebbia e lei è sbucato all’improvviso dal nulla.” “ Capisco, fa niente và. Posso aiutarla? Mi sembra confuso.”“ No, no grazie. Non ricordo il nome della via. Vado a naso. Grazie lo stesso e mi scusi ancora.” “ Ok, come vuole, buonasera.”. “ Arrivederci”. Riprendo il cammino. Ecco il viale, i lampioni sono inconfondibili. Poche macchine parcheggiate, quasi tutte dentro i garage. Il furgone c’é. Ritorno alla pensione “ Luisa “. La riga bianca sull’asfalto è andata in vacanza alle Barbados, con giusta ragione. Non si vede un’accidenti di niente. Mi affido alla linea laterale. Speriamo bene. “ Ma dove cavolo sono finito?”. La nebbia inghiotte ogni cosa e se ne strafrega.  Ecco l’insegna. Meno male. Arrivato. La porta è chiusa. Suono due volte. Una luce si accende al primo piano. Aspetto. Un uomo alto e robusto in vestaglia  apre la vetrata. “ Buonasera, sono Mario Castaldi, il cliente della stanza numero 12”. “ Buonasera, so chi é. Prenda pure la chiave. Se deve riuscire chiami il numero nove e scenderò ad aprire.” “ Grazie, non uscirò. Andrò a dormire. A che ora servite la colazione?”“ Dalle 07.00 alle 10.00”. “ Ok, buonanotte”.  “ Buonanotte a lei”. La luce della sala

si spegne e raggiungo la mia stanza. Accidenti a me. Ho lasciato la finestra aperta. Freddo pungente e nebbia. Bella nottata mi aspetta. Poco male, l’odore sgradevole se n’è andato. Niente pigiama. La coperta nell’armadio basterà. Domani è un altro giorno. Il sorriso di Amanda mi chiude gli occhi serenamente. Good night my darling.  “ E’ il rumore di un gallo o sbaglio” Mi alzo ancora un po’ intontito e apro la finestra. “ Eh già un gallo. Sono le 06.30” La foschia si mescola al rosa dell’alba e gli alberi in lontananza assumo forme rarefatte. Un paesaggio caro agli impressionisti e anche  a me. Il gallo se ne sta appollaiato sul di un tronco spezzato. Si liscia le piume e annuncia il giorno. Bene. Mi preparo, faccio la valigia e scendo. Un profumo di brioche caldo stimola il mio stomaco. Al bar ci sono due uomini,

rappresentanti, dall’aspetto e dall’abbigliamento.

Hanno un chiaro accento milanese. La signora Luisa

Prepara cappuccini e caffè. Ordino un latte macchiato e brioche. Mi siedo al tavolino e sfoglio il giornale.

Le solite chiacchiere. Prendo la valigia e saluto tutti.

Luisa sorride per la prima volta. Ma lo sguardo indaga sempre i miei occhi e la mia cicatrice.

Faccio benzina e raggiungo il mio nuovo appartamento. E’ comodo, piccolo e pulito, in centro e con posto auto. Perfetto. Apro tutte le finestre per arieggiare. Controllo gli utensili.. C’è tutto ciò che mi serve. E’ ora di andare. La palazzina è di tre piani con sei appartamenti in tutto. Discreta e silenziosa.

Raggiungo Villa Bocassini. Svolgo il mio lavoro in silenzio. La signora Clelia viene a portarmi un caffè ed una bottiglia d’acqua verso le 10.00.

“ Signor Castaldi, si fermi un attimo. Faccia una piccola pausa.” “ Grazie signora Clelia ci voleva proprio. “ Mi siedo sulla seggiola di legno e paglia.

Lei attende silenziosa che abbia finito. Intanto mi guarda. Tiene le braccia dietro la schiena da perfetta cameriera. Mi porge un tovagliolo pulito. Mi pulisco la bocca e glielo riconsegno garbatamente. Riprendo il mio lavoro e lei il suo. Alle 12.00 interrompo il mio lavoro come da disposizioni. Esco dalla porta sul retro. Non ho voluto le chiavi. Clelia apre e chiude ogni volta che entro ed esco. Passeggio fino alla piazza e passo davanti alla “ casa Lavanda”. L’ho battezzata così. L’aiuola è lì. Ancora secca.

Noto alcuni piccoli germogli alla base dei rami.

Sorrido. L’ho salvata. Tende tirate. Silenzio. Nessun gioco, nessuna altalena, nessun cane ad animare quel giardino. Freddo come chi lo abita.  I giardini rispecchiano le persone che li vivono. Come le case.

Non resisto alla tentazione. Mi avvicino a Lavanda, ormai siamo diventati amici. Eh sì, si sta riprendendo.

Il terriccio è troppo inzuppato. Non va bene così.

“ Senta, che sta facendo?” Ecco Misstressara all’attacco. Cattiva ragazza frustrata. “ Sto sistemando la lavanda. Vedi ci sono dei piccoli germogli. Ma non dovete innaffiarla troppo.”

“ Alle piante e ai fiori ci pensa mia madre. Lei sa quello che fa.” “ Non credo proprio. Dille di spruzzare acqua sui rami e dare poca acqua sul terreno. Capito ragazzina?” “ Mi chiamo Samantha e faccio quello che mi pare” Tira fuori la lingua in segno di scherno.

Attira gli schiaffi come il miele le api. Mi trattengo. Mi alzo e me ne vado. Non la saluto. “ Perché ha quella cicatrice sul viso eh?” Non le rispondo. Mi allontano e la saluto con la mano. Mangio un panino in piazza e ritorno alla villa. Verso le 17.00 Clelia mi viene a chiamare. E’ ora di andare. La saluto ed esco dal retro. I miei giorni continuano tranquilli. Il mio lavoro è molto soddisfacente. In primavera il giardino di Villa Bocassini è un gioiello di architettura floreale.

Amanda non finisce mai di ringraziarmi con il suo sorriso giallo sole. Tutte le sue amiche la invidiano e io sono felice per lei. Amanda ama le piante come me. Ce ne stiamo in silenzio per ore. Lei prepara i vasi, raccoglie fiori, sistema le aiuole con amore.

Siamo complici della natura. Amiamo madre terra e sorella acqua. Siamo lontani dal mondo. La mia professionalità ha raggiunto più famiglie altolocate ed ora sono il giardiniere più ricercato di tutta Cisa.

Lavanda cresce bene. E’ tutta coronata di fiori splendenti. E’ il mio portafortuna. Pomeriggio afoso oggi. Calura malefica. Sudore appiccicoso, zanzare succhia sangue. Me ne sto sul balcone a cercare un filo d’aria. Neanche a pagarlo. Tutta l’aria se ne è andata in montagna, con giusta ragione, dico io. Il campanello suona. Mi alzo malvolentieri, sono fiacco e stanco. Sulla soglia compare Samantha. Rossa in viso e con un’aria ansiosa. “ Buongiorno signor Castaldi, posso entrare? Dovrei…” “ Ma certo Samantha, entra pure”. Cammina lentamente, stringe il suo zainetto. “ Hai sete? Un bicchier d’acqua fresca?” “ Ehm, sì grazie, fa  tanto caldo oggi”.

“Io….volevo…Signor Mario…vede…” “Su, Samantha

Non avere paura, non mordo mica. Non sono il lupo mannaro e tu non sei Cappuccetto Rosso, giusto?”

Beve avidamente l’acqua, la tensione fa venire sete.

Rimango seduto vicino a lei sulla poltrona. “ Vorrei chiederle se poteva venire anche da noi. Se poteva curare il giardino. Mia mamma non è così brava come le ho detto e non ha affatto il pollice verde. Io potrei imparare da lei.” “ Ma certo Samantha, con molto piacere. Perché non me lo hai chiesto prima?”

“ Bé, avevo un po’ di suggestione, mi sentivo in colpa per le parole ed il tono che avevo usato con lei.”

La guardo. Non dico nulla. “ E…poi…lei…mi fa un po’ paura…ecco…” “ E perché mai Samantha?” “ Per quella cicatrice che ha sul viso. Assomiglia proprio ad un carcerato evaso di prigione. Avevo visto delle foto tempo fa.” Deglutisce. Beve un sorso d’acqua. Mi fissa la cicatrice. “ “ Lei non è un prigioniero vero Signor Castaldi?” Samantha non ricevette mai una risposta. Ma, la sua Lavanda continuava a crescere bella e rigogliosa. Chissà, certi concimi sono meglio di altri.

 

 

 

 

 

 

 

IL GIARDINIERE – TENTATIVO DI RACCONTO NOIR –ultima modifica: 2013-10-12T17:30:47+02:00da cigno39
Reposta per primo quest’articolo

4 Commenti

  • E’ strano di una donna che fa fare il protagonista a un uomo. Bel racconto.

  • Grazie Roberto! Pensa lo avevo inviato al concorso letterario “Grado giallo” e purtroppo non ho vinto…sigh..sigh….In effetti é strano, non ci avevo pensato a dir la verità, ho scritto di getto ed il personaggio lo sentivo maschile. E’ prevalsa la mia parte maschile in quel periodo. Tutti abbiamo una parte maschile e femminile dentro di noi. Tu non hai mai provato a scrivere al femminile?

  • In verità, io sono femmina 🙂

  • mi sembrava di aver notato…qualche movenza delicata nel muovere le mani…Roby…:)