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Feb 10, 2012 - racconti    2 Comments

IL SOGNO

 

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Cammino veloce, il marciapiede è grigio e freddo, mi stringo nel cappotto alla ricerca di un po’ di calore.

Tra un pensiero e l’altro, l’immagine di te e dei tuoi occhi appare e scompare come diapositiva.

Entro infreddolita nel mio bar preferito, piccolo, silenzioso e vagamente retrò. Martina è lì dietro al banco, sorridente e dolce come sempre. La saluto e ordino il mio solito caffè d’orzo. Lo bevo sempre di fronte alla finestra, mi piace sorseggiare e guardare fuori. Ci sono dei bei giardini e le stagioni li attraversano con naturalezza. Gli alberi sono spogli e la terra è scura, non importa, mi piace quel freddo silenzio invernale.

Oggi l’aria è tersa, il cielo è azzurro brillante, stupendo e limpido. Martina mi parla con cortesia e tono basso, come piace a me, mi racconta cose  gradevoli e simpatiche. Riporto la tazzina al banco ed è in quel momento che ti vedo: seduto ad un tavolino d’angolo, stai conversando con una donna, gesticoli e sorridi, lei ti guarda con ammirazione. Un calore improvviso mi assale e l’istinto di andarmene è così forte che giro sui tacchi e mi dirigo alla cassa per pagare. I miei gesti sono bruschi e la mente percorre le vie tortuose della gelosia. Lascio i soldi in fretta sul banco ed esco velocemente, così senza nemmeno salutare. Il cuore batte forte e le tempie pulsano, aumento il passo, i miei passi risuonano veloci sul marciapiede. All’improvviso una stretta imponente mi prende il gomito e mi fermo di scatto, che succede? Mi volto infuriata e tu sei lì, di fronte a me con il fiato corto e le guance arrossate. Non dici nulla, non dico nulla, ti fulmino con lo sguardo, mi costringi a cammninare, mi tieni forte  , non una parola. Giriamo l’angolo di Via Dante, imbocchiamo il vicolo S. Caterina e attraversiamo Galleria Moretti, semibuia, arredata stile liberty, con le vetrine incorniciate di legno scuro. Non c’era nessuno. Mi fai entrare in un portone bellissimo intarsiato a mano, con figure di fiori ed edere, l’odore di vernice fresca invade l’entrata, mi spingi contro il muro, mi guardi intensamente, ti avvicini, il tuo profumo è così buono, il tuo corpo è così vicino, emana calore. Sei calmo e fermo, ti guardo e non dico nulla, sono immobile come una statua di ghiaccio. Ti avvicini, mi apri il cappotto e mi prendi la vita, ti chini per baciarmi, giro la testa dall’altra parte, mi mordi il collo e premi il tuo corpo contro il mio, mi manca il fiato, cerco di allontanarti, non succede. Mi piace questa sensazione d’impotenza. La tua mano alza la mia gonna e mi stringe la gamba, ho il reggicalze, un sospiro di piacere esce dalle tue labbra, senti la mia pelle calda e morbida, ti desidero da morire e tu lo sai. Ti slaccio i pantaloni e sento il tuo vigore, mi togli le mutandine velocemente, avidamente, cerchi le mie labbra, io cerco le tue, ci baciamo intensamente, un brivido di passione mista a dolore percorre la mia schiena, non posso muovermi, il muro è freddo, il tuo corpo caldo.

Mi slacci la camicia, accarezzi il collo teso a mano aperta, lo stringi leggermente e mi guardi negli occhi, due lampi percorrono le tue pupille chiare, di ghiaccio e fuoco, mi baci ancora. La tua mano cerca il mio seno caldo, lo stringe, lo bacia mentre io non ho più la forza di respingerti e mi abbandono completamente a questo piacere intenso ed unico che solo tu sai darmi. Mi prendi in braccio e mi spingi contro il muro fino ad arrivare al massimo del piacere, fino ad arrivare al paradiso dei sensi, mentre ti stringo la nuca e i tuoi capelli profumano di buono, vorrei non finisse mai questo momento. Siamo entrambe esausti, accaldati, semivestiti, non importa, è te che voglio, i nostri sospiri diminuiscono, i nostri cuori battono lentamente, i nostri petti si calmano.

Ci abbracciamo intensamente, mi baci il viso, la nuca le labbra, non dici nulla, mi baci gli occhi e le mani, sei unico e insostituibile, sono piena di te e del tuo piacere, ti guardo intensamente, mi sistemo i vestiti, mi riallaccio il cappotto, ti accarezzo il viso e mi allontano da quel portone.

Feb 10, 2012 - racconti    Commenti disabilitati su NUVOLE PASSEGGERE

NUVOLE PASSEGGERE

 

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A volte mi chiedo come il nostro passato sia così sfuggevole, lontano, offuscato dal presente; eppure basta poco per ritornare indietro nel tempo, un profumo, un’immagine, un colore, una canzone…

Durante i nostri periodi frenetici non esiste spazio per questi pensieri, siamo troppo occupati a vivere, a correre e sbuffare e così, fortunatamente, accadono situazioni

impreviste, non programmate e tanto benefiche…

Novembre aveva spogliato gli imponenti alberi di Via Carducci e una leggera nebbia offuscava   i lampioni già accesi. Stavo aspettando l’autobus delle 18.00, quando sentii una voce in lontananza che gridava il mio nome: “ Lisa, Lisaa ! “ Mi voltai sorpresa e vidi un tipo strano, avvolto nel giaccone scuro che stava correndo verso di me, mi raggiunse velocemente, si fermò e mi abbracciò. Mi staccai in fretta per guardarlo meglio, un lampo illuminò il mio viso, rimasi senza fiato: “ Luca, Luca Bettini, lo scapigliato  del corso di ragioneria ! “ Rimanemmo così, in piedi, vicini e felici come non mai. Mi accompagnò a fare la spesa, non smise un attimo di parlare, m’investì di racconti, di sorrisi, era così allegro… Ci fermammo a bere nella caffetteria di Via Gandolfi, era il nostro punto di ritrovo dopo la scuola serale. Luca era il mio compagno di banco e tra di noi esisteva una naturale intesa, un amicizia

sincera, ricca di ironia, sarcasmo ed umorismo che rendeva le tristi lezioni di ragioneria piacevoli serate spensierate. Stavamo ricordando le nostre piccole avventure e mentre parlava, mi accorsi che era cambiato, era più maturo, insomma, più uomo. No, non era solo quello, dietro al suo sorriso aperto, si nascondeva un “non so che” di triste. Non era da lui. Presi coraggio e gli domandai come stavano andando le cose, non gli nascosi la mia perplessità. Alzò lo sguardo lentamente ed i suoi occhi scuri cercavano i miei con insistenza: “ Lisa, io… non posso vivere lontano da te, ho bisogno di te, ogni giorno, ogni ora, mi manchi, mi mancano i tuoi occhi, il tuo sorriso, la tua voce. Da quando è finito il corso, e non ci vediamo più, io sono cambiato, all’inizio non capivo, ero confuso, davo la colpa al lavoro ad altre cose, invece ora è tutto più chiaro, Lisa, io ti amo.” Non dissi nulla, rimasi senza fiato, incredula e confusa. I rumori della caffetteria diventarono sempre più assordanti ed invadenti, mi alzai di scatto ed uscii di corsa. Mille pensieri si rincorrevano nella mia mente, “ com’è possibile? Luca, l’amico di sempre, non mi sono mai accorta di nulla, tra noi esisteva una pura e semplice amicizia. I suoi sguardi erano innocente, ne sono sicura. Davvero sicura ? Io, com’ero? Normale, contenta, allegra, non lo mai provocato intenzionalmente…. Forse una volta, inconsciamente, ma cosa sto pensando? Dove sono ?” Ho camminato a lungo, senza rendermi conto della strada, meno male ero arrivata a casa .Già, a casa, il mio rifugio tranquillo e beato, il nido d’amore per eccellenza creato con pignoleria ed attenzione da me e Francesco, il mio fidanzato. Un unione serena, forte e complice consolidata durante questi tre anni vissuti insieme, siamo felici e ci amiamo. Qualche giorno fa abbiamo deciso di sposarci ed avere dei bambini. Il nostro futuro si affaccia lentamente, tranquillamente, senza sorprese e cambi di binari, è giusto così, va bene così, la mia tranquillità prima di tutto ! E adesso dove sono finite  la mia proverbiale calma, la mia capacità di riflessione  e soprattutto la mia cara amica Ragione? Perché me ne sono andata, perché non ho voluto affrontare Luca o meglio me stessa ? Forse provo anch’io qualcosa per lui, i suoi occhi così profondi e le sue mani grandi, nervose…

Una situazione così romantica, coinvolgente, da” romanzi rosa “irrompe nella vita e io cosa faccio? Tremo come una foglia al vento…Sensazioni differenti percorrono il mio cuore un po’ fragile, devo ammettere, compiaciuto e corteggiato da un nuovo amore. Cosa devo fare? Non lo so. Un soffio d’aria rinfresca il mio viso caldo, apro gli occhi e difronte a me Francesco mi sta guardando “ Amore, svegliati, hai fatto un brutto sogno, ora è tutto finito, ci sono qua io”.              

Feb 8, 2012 - racconti    Commenti disabilitati su I PATTINI D’ARGENTO

I PATTINI D’ARGENTO

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La pista è vuota, la lastra di ghiaccio brilla al sole, nessun segno è visibile,

pare ancora intatta. Il silenzio, in quel primo pomeriggio di Marzo, è

interrotto ogni tanto dalla lieve brezza primaverile che scompiglia le fragili foglie novelle. Marika, seduta sulla panca, si allaccia con cura i pattini nuovi. Con la testa china ed i capelli sul viso controlla la chiusura dei lacci ed arrotola le calzette rosse sulle caviglie. Si alza e barcollando raggiunge la pista, si ferma e guarda un istante quel grande lago ghiacciato e poi si lancia frenetica in una lunga corsa. Le lame dei pattini tagliano violentemente il ghiaccio ed il rumore echeggia nell’aria. Marika volteggia sicura, muove il suo corpo rigido con perfezione, mentre il sole tiepido la scalda lievemente. Che bello! Ora è felice, niente la può fermare, si lascia trasportare da quella sensazione unica ed irripetibile. Nessuno la guarda, nessuno le parla e le dice ciò che deve fare. No, è lei la padrona di se stessa, può fare ciò che vuole ed i pattini eseguono i suoi ordini diligentemente. I salti e le piroette non la trovano mai impreparata, Marika atterra con grazia e disinvoltura. A volte si abbandona a morbidi movimenti e lascia che siano i pattini a guidarla verso nuove geometrie. Il fiato reclama e la gola è secca, è tempo di fermarsi. Marika si appoggia alla ringhiera e respira profondamente, gli occhi sono chiusi e tutto si muove attorno, gli alberi, le montagne ed il sole. Il cuore batte forte e la stanchezza si fa sentire, ma non è ancora ora di smettere. Eccola è di nuovo là in pista, grintosa e felice. Quei brevi momenti sono così intensi ed importanti per lei, per i suoi pensieri, per il suo corpo, la fantasia è libera di correre, urlare, piangere e ridere; niente domande, niente risposte, solo lei e Marika. Rumori di passi lontani interrompono il suo dolce vagare una voce famigliare la chiama: “ Marika! Marika, cosa fai qui? E’ freddo, è ora di andare “. “ Sì, Marco, andiamo, è tardi, accompagnami a casa “. Un ultimo sguardo alla pista vuota e mentre il sole scompare tra le montagne, il cigolio della sedia a rotelle invade quell’incanto.

 

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Feb 5, 2012 - racconti    2 Comments

LA ROSA ROSSA

 

ROSA ROSSA.jpgIn cucina, tra il rumore dei piatti  e la voce assordante della televisione, Angela si asciuga una lacrima. La testa china sul lavello e lo sguardo fisso sulla schiuma biancastra del detersivo, la rendono ancora più piccola. Suo marito fuma una sigaretta e segue senza espressione il telegiornale, sorseggia il caffè senza fiatare e poi, terminato, si alza con una smorfia. In piedi in mezzo alla stanza si stiracchia e per un istante guarda sua moglie: i capelli sono raccolti ma qualche ciuffo spettinato scende sul collo, il largo vestito un po’ sgualcito nasconde le sue forme. Un tempo erano belle, ora, chi lo sa… Le calze pesanti, chiuse in pantofole grigie rendono goffe le sue caviglie. Angela sente lo sguardo insistente dietro di sé, non osa voltarsi, gli occhi gonfi ed arrossati lo irriterebbero. Enzo tende una mano per accarezzarla e come al solito s’infila la giacca ed esce da casa lasciandosi dietro il suo misero “ ciao “. La porta si chiude, i passi di Enzo risuonano giù per le scale. Finalmente Angela è sola e lascia libero sfogo alla sua tristezza, un pianto dimesso ed ormai consumato sfiorisce il bel viso della signora Mainardi. Appena sposata era orgogliosa di quel nome: Angela Mainardi, ogni volta che lo pronunciava si sentiva davvero soddisfatta. Ora quel nome è così abituale, così scontato che quasi fa fatica a pronunciarlo. Si asciuga le mani con uno strofinaccio e si sofferma a guardare la fede nuziale, anche lei era diventata parte integrante della sua vita, del suo corpo, come qualcosa che era sempre esistito. Si toglie l’anello e lo guarda. Era tanto che non lo fissava così, che non lo puliva con quella smania infantile di trattarlo bene, di non rovinarlo, di farlo sempre brillare e splendere come l’amore che li univa. Quella parola, che significato poteva avere ora, amore? Sospirando si dirige in camera, apre il cassetto dell’armadio e tira fuori due o tre album di fotografie. Li sfoglia tutti, sorride e si sofferma sul bel primo piano di Enzo. Prova una certa emozione, la stessa che la fece sussultare la prima volta che lo conobbe. Tante cose sono cambiate, quanto tempo è trascorso senza lasciare un segno, un cambiamento, l’abitudine aveva sepolto i loro stimoli più vivaci, il lavoro, lo stress avevano permesso alla stanchezza e alla noia di soffocarli, di allontanarli sempre più. Ma quella grande emozione vive ancora, palpita debole nel suo cuore, non aspetta altro che di essere ascoltata ancora, di essere cercata e coccolata di nuovo, come un tempo. Enzo è fermo al semaforo ed aspetta, ormai senza più sbuffare il verde. L’ansia di arrivare a casa ha lasciato il posto alla fatica di ritornare e alla stanchezza della solita cena. Fermi sul marciapiede due giovani si abbracciano e si guardano intensamente, il ragazzo accarezza dolcemente il viso infreddolito della sua ragazza. Anche Enzo lo faceva spesso, Angela aveva sempre le guance irritate dal freddo e lui si preoccupava sempre… Era tanto che non provava quel senso di protezione e quel piacere di sentire la sua pelle fresca. Un brivido di attrazione gli illumina il viso, Angela è a casa che lo aspetta, deve far presto. Corre su per le scale, cerca ansioso le chiavi ed apre la porta, un caldo profumo invade il corridoio, entra in cucina e sua moglie è lì, in piedi davanti ai fornelli, un vestito nero attillato avvolge i suoi fianchi ed una leggera scollatura incornicia la schiena nervosa. Angela si volta e trova Enzo in piedi, un po’ spettinato con in mano una rosa rossa.

 

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